“Myopia”: il punto di vista di Agnes Obel sulla mente.

Scritto da il 25 Febbraio 2020

Alla base del titolo, “Myopia”, c’è l’idea di una visione periferica molto ridotta, come se si guardasse da dentro un tunnel o al microscopio. Un’osservazione in qualche modo distorta sin da principio. Musicalmente l’obiettivo è creare un senso di straniamento. Utilizzando, oltre al mellotron, strumenti classici come piano, celesta e viola ma pesantemente processati. Un continuo abbassare e alzare le tonalità artificialmente: trattamento riservato anche all’angelica voce, che suona improvvisamente luciferina.

L’ambizione è tradurre sonoramente ciò che avviene nella mente quando si rievoca qualcosa: la realtà oggettiva è plasmata dalla memoria soggettiva, trasformandosi in ricordo proprio. Ascoltando il nuovo lavoro di Agnes Obel, anticipato dalla spettrale “Island Of Doom” e dalla sontuosamente pizzicata “Broken Sleep”, si può affermare che l’artista danese con base a Berlino è perfettamente riuscita nel suo intento.

Il disco si apre con “Camera’s Rolling”, uno dei migliori pezzi della sua carriera: magnifica partitura per pianoforte, breve testo ambiguo e arrangiamento visionario. L’onirico video che l’accompagna – così come l’artwork – sono frutto del compagno della Obel, Alex Brüel Flagstad. Il cui contributo la cantautrice definisce e riassume come dialogo senza parole: di più, una di lui interpretazione di ciò che sente. Notevoli anche i brani strumentali: la cullante “Roscian”, l’incalzante “Drosera” e la malinconica “Parliament Of Owls”. A sorpresa la title track si rivela forse la canzone più accessibile, insieme a “Won’t You Call Me”. Specie se paragonate a composizioni sghembe come “Promise Keeper” o “Can’t Be”, più vicine alle atmosfere di un progetto sperimentale alla Blue Hawaii piuttosto che a un album sotto l’egida di Deutsche Grammophon e Blue Note. Ma anche questo è il potere della reinvenzione di Agnes Obel: lo stesso che ha portato l’algida musicista di “Philharmonics” a sporcarsi tecnologicamente per dar suono ai propri mondi interiori.


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